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Sentenza Corte di cassazione del 9 Gennaio 2007 n. 149
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LEGGE
9 GENNAIO 2007 , n. 149
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CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE -
SENTENZA 9 gennaio 2007, n. 149 -
Pres. Vitalone – est. Lombardi
Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata la Ca di Torino ha confermato la
pronuncia di colpevolezza di Rizzi Eugenio e Faretti Claudio in
ordine ai reati: a) e
d) di cui all’articolo 171bis della legge 633/41;
b) di cui all’articolo 171ter lettera a) e b) della legge 633/41,
loro
ascritti per avere, a fine di lucro, duplicato abusivamente,
utilizzando un computer configurato come server Ftp, e distribuito
programmi per elaborare illecitamente duplicati, giochi per psx,
v
ideo Cd (capo a);
per avere, a fine di lucro, abusivamente duplicato su supporto
informatico opere cinematografiche, mettendole poi a disposizione
sul server ftp, dal quale potevano essere scaricate da utenti
abilitati all’accesso tramite un codice identificativo e relativa
password a fronte del conferimento di materiali informatici sul
predetto server ftp (capo b) nonché il Rizzi per avere
detenuto a scopo commerciale programmi destinati a consentire
o
facilitare la rimozione dei dispositivi di protezione applicati
a programmi per elaboratore (capo d).
I giudici di merito hanno accertato in punto di fatto che gli
imputati avevano creato, gestito e curato la manutenzione di un
sito ftp mediante un computer esistente presso l’associazione
studentesca del Politecnico di Torino, sul quale venivano scaricati
(download) programmi tutelati dalle norme sul diritto d’autore.
Successivamente tali programmi potevano essere prelevati da determinati
utenti che avevano accesso al server in cambio del conferimento
a loro volta di materiale informatico, nonché il solo Rizzi per
avere detenuto presso la sua abitazione programmi destinati a
consentire o facilitare la rimozione dei dispositivi di protezione
applicati ai programmi per elaboratore. La sentenza ha rigettato
i motivi di gravame con i quali il Faretti aveva dedotto la propria
estraneità ai fatti ed entrambi gli imputati la non configurabilità
delle fattispecie criminose di cui alla contestazione prima della
riforma di cui alla legge 248/00 e successive modificazioni. La
sentenza su tale ultimo punto, in sintesi, ha affermato che le
operazioni descritte integrano le ipotesi delittuose di cui api
di imputazione, pur nella previsione normativa antecedente alla
legge di riforma citata, osservando che l’attività posta in essere
dagli imputati implica necessariamente la duplicazione dei programmi
ed altri files relativi ad opere musicali o cinematografiche protetti
dal diritto d’autore e che lo scambio del materiale informatico
integra l’ipotesi della duplicazione del predetto materiale a
fine di lucro richiesta per la configurabilità delle fattispecie
criminose di cui alla contestazione, nella loro formulazione normativa
antecedente alla riforma. Si è osservato sul punto, in relazione
alle differenze terminologiche adoperate dalla legge di riforma
(“scopo di profitto” invece di “scopi di lucro” – “detenzione
per scopo commerciale o imprenditoriale” invece di “detenzione
per scopo commerciale”), che le stesse si congiurano quale interpretazione
autentica del legislatore, finalizzata a superare le questioni
interpretative correlate ad ipotesi di vantaggio non immediatamente
patrimoniale; interpretazione che non ha ampliato l’ambito della
punibilità della fattispecie delittuose precedenti. Avverso la
sentenza hanno proposto ricorso il difensore del Rizzi ed il Faretti
di persona, che la denunciando per violazione di legge.
Motivi della decisione
Con un unico motivo di gravame la difesa del Rizzi denuncia
la violazione ed errata applicazione degli articoli 171bis e 171ter
della legge 633/41 nel
testo vigente all’epoca dei fatti ed in relazione alle modifiche
apportata
a detti articoli dalla legge 248/00, dal D.Lgs 68/2003, dal Dl
72/2004, convertito in legge 128/04, e dal Dl 7/2005, convertito
con modificazioni
dalla legge 43/2005.
Si deduce, in sintesi, che l’interpretazione delle norme incriminatici
effettuata dalla corte territoriale viola i principi della tipicità
e della tassatività delle fattispecie criminose di cui alle disposizioni
citate.
Si osserva in proposito, sempre in sintesi, che le differenze
terminologiche adoperate dal legislatore nelle varie formulazioni
degli articoli 171bis e 171ter della legge 633/41 non sono esclusivamente
finalizzate ad assicurare una sempre più adeguata tutela del diritto
d’autore, dettata dalla necessità di determinare la rispondenza
del quadro normativo al progresso tecnologico, bensì anche dalla
finalità di contemperare le predette esigenze di tutela con quella
di garantire la circolazione delle opere dell’ingegno, quale strumento
di progresso sociale e culturale.
Si deduce, quindi, che le differenze terminologiche adoperate
nel testo legislativo tra “scopo di lucro” e “scopo di profitto”,
peraltro generalmente connesse alla necessità di adeguare la legislazione
nazionale al Trattato dell’Ompi sul diritto d’autore ed alle direttive
comunitarie ad esso correlate, sono conseguenza del diverso approccio
del legislatore alla indicata esigenza di contemperare contrapposti
interessi, di cui costituiscono evidente espressione le modificazioni
subite in breve arco di tempo dall’articolo 171ter della legge
633/41 con riferimento all’elemento soggettivo del reato, la cui
soglia di punibilità è stata da ultimo nuovamente innalzata al
perseguimento di un fine di lucro da parte dell’autore della violazione.
Si deduce, quindi, con specifico riferimento alla pronuncia impugnata
che i giudici di merito hanno erroneamente attribuito all’imputato
una attività di duplicazione dei programmi e di opere dell’ingegno
protette dalla legge sul diritto d’autore, poiché la duplicazione
in effetti avveniva ad opera dei soggetti che si collegavano con
il sito ftp e da essa in piena autonomia prelevavano i files e
nello stesso ne scaricavano altri. Si aggiunge che, in ogni caso,
doveva essere esclusa l’esistenza di un fine di lucro da parte
del Rizzi non potendosene ravvisare gli estremi nella mera attività
di scambio dei files posta in essere; che la condotta dell’imputato,
quanto meno con riferimento alle opere musicali e cinematografiche,
potrebbe ritenersi solo attualmente sanzionata dall’articolo 171ter,
comma 1 lettera abis), aggiunto dal Dl 72/2004, convertito in
legge 128/04; che, anche con riferimento al programma detenuto
dall’imputato nella propria abitazione, doveva escludersi la detenzione
a fini commerciali e lucrativi dello stesso, scopo in ordine al
quale, peraltro, nulla è stato affermato dai giudici di merito.
Con un unico motivo di gravame a sua volta il
Faretti denuncia la violazione ed errata applicazione degli articoli
171bis e 171ter della legge 633/41. Anche il secondo ricorrente
denuncia l’errata interpretazione dei giudici di merito circa
la sussistenza nel caso in esame del fine di lucro, che deve concretizzarsi
nel perseguimento di un vantaggio economicamente apprezzabile;
elemento da escludersi nel caso in esame in cui è stato accertato
che lo scambio di software avveniva esclusivamente a titolo gratuito,
né era connesso a forme di pubblicità o ad altra utilità economica
che ne potessero trarre i creatori del sito ftp.
I ricorso sono fondati. È opportuno premettere che appare pienamente
condivisibile, con riferimento all’elemento materiale della fattispecie
delittuosa principale, l’affermazione della impugnata sentenza,
secondo la quale le operazioni di download sul server ftp e dallo
stesso sui computer delle persone che si collegavano al sito,
implica necessariamente la duplicazione del materiale informativo
e, più in generale, delle opere dell’ingegno protette dal diritto
d’autore oggetto dell’operazione, sicché sotto il citato profilo
vi è sostanziale coincidenza tra i fatti ascritti agli imputati
e le ipotesi criminose ritenute dai giudici di merito. La questione
nodale circa l’applicabilità, nel caso in esame, delle fattispecie
criminose di cui agli articoli 171bis della legge 633/41, introdotto
dall’articolo 10 del D.Lgs 518/92 e 171ter della medesima legge,
introdotto dall’articolo 17 del D.Lgs 685/94, nella loro formulazione
antecedente alla legge di riforma 248/00 è, pertanto, costituita
dalla interpretazione del termine “scopo di lucro”, adoperato
nel testo delle norme vigenti all’epoca dei fatti, rispetto all’espressione
“scopo di profitto” introdotto dalla legge di riforma, con la
conseguente individuazione del diverso ambito di applicazione
della fattispecie per effetto delle citate differenze terminologiche.
In proposito non si palesa certamente condivisibile l’affermazione
della sentenza impugnata, secondo la quale le diverse espressioni
con le quali il legislatore ha, di volta in volta, individuato
il citato elemento soggettivo del reato costituiscono mera estrinsecazione
di una interpretazione autentica dello stesso concetto, semplicemente
riformulato in termini più esaustivi nella successive modificazione
della norma per un migliore adeguatamente terminologico della
tutela penale alla evoluzione dei fenomeni di violazione del diritto
d’autore. Contrasta con tale interpretazione il diverso valore
che le predette espressioni assumono nella loro comune accezione
e che il legislatore ha indubbiamente attribuito ad esse, sia
nella utilizzazione in materia di reati contro il patrimonio,
al posto di quella afferente al lucro, al fine di estendere la
sfera di applicabilità della tutela penale, sia con riferimento
alle modifiche legislative che hanno interessato proprio la legge
sul diritto d’autore. È stato esattamente evidenziato in proposito
dalla difesa del Rizzi che l’espressione “fini di lucro”, contenuta
nel testo attuale dell’articolo 171ter, comma 1, della legge 633/41
è stata dapprima sostituita con quella “per trarne profitto” dall’articolo
1 comma 2 del Dl 72/2004, convertito con modificazioni dalla legge
128/04, e successivamente reinserita al posto di quella “per trarne
profitto” dall’articolo 3 comma 3quinquies, del Dl 7/2005, convertito
con modificazioni dalla legge 43/2005. Orbene, tali modifiche
non possono essere altrimenti interpretate che quale espressione
dello specifico intento del legislatore di modificare la soglia
di punibilità della condotta descritta dalla norma, a seconda
del prevalere di interessi di salvaguardia del diritto d’autore
o di quello contrapposto, afferente alla libera circolazione delle
opere dell’ingegno, incidendo direttamente sulla qualificazione
del dolo specifico richiesto per la configurazione del rato. Né
appare molto conferente, a sostegno della tesi interpretativa
sostenuta nella sentenza impugnata, il riferimento alla pronuncia
di questa Sc (Sezione terza, 33896/01, Furci, rc 220344), che
si è occupata della diversa espressione, “a scopo commerciale”,
contenuta nell’articolo 171bis della legge 633/41, precisando
che per scopo commerciale non deve intendesi necessariamente la
destinazione alla vendita delle copie non autorizzate dei programmi
per elaboratore, in quanto tale scopo può configurarsi mediante
qualsiasi utilizzazione imprenditoriale del materiale abusivo.
La citata pronuncia, invero, si riferisce ad un diverso dato normativo,
che afferisce precipuamente alla delimitazione della materialità
della condotta criminosa, con riferimento ad una specifica categoria
di soggetti esercenti attività economica (imprenditoriale) e non
alla individuazione dell’ambito di operatività della norma penale
nel suo riferimento all’elemento soggettivo del reato, oggetto
delle modificazioni che qui interessano. Non appare, pertanto,
dubbio che le differenti espressioni adoperate dal legislatore
nella diversa formulazione degli articoli 171bis e ter abbiano
esplicato la funzione di modificare la soglia di punibilità del
medesimo fatto, ampliandola allorché è stata utilizzata l’espressione
“a scopo di profitto” e restringendola allorché il fatto è stato
previsto come reato solo se commesso a “fini di lucro” (cfr. Sezione
terza, 33303/01, Ashour ed altri, rv 219683). Con tale ultima
espressione, infatti, deve intendersi un fine di guadagno economicamente
apprezzabile o di incremento patrimoniale da parte dell’autore
del fatto, che non può identificarsi con un qualsiasi vantaggio
di altro genere; né l’incremento patrimoniale può identificarsi
con il mero risparmio di spesa derivante dall’uso di copie non
autorizzate di programmi o altre opere dell’ingegno, al di fuori
dello svolgimento di un’attività economica da parte dell’autore
del fatto, anche se di diversa natura, che connoti l’abuso, come
nel caso esaminato dalla pronuncia citata in precedenza. Tale
interpretazione, peraltro, trova riscontro nella stessa legge
sul diritto d’autore che nell’articolo 174ter, come da ultimo
modificato dall’articolo 23 del D.Lgs 63/2003 non attribuisce
rilevanza penale alla duplicazione, riproduzione, acquisto o noleggio
di supporti non conformi alle prescrizioni della medesima legge
a fini meramente personali, allorché, cioè, la riproduzione o
l’acquisto non concorrano con i reati previsti dall’articolo 171
e ss. e non sia destinato all’immissione in commercio di detto
materiale (cfr. Su, 47164/05 Marino). Nella ipotesi esaminata
viene, infatti, escluso dall’ambito della fattispecie criminosa
il comportamento dettato dalla mera finalità di un risparmio di
spesa, che indubbiamente deriva dall’acquisto di supporti duplicati
o riprodotti abusivamente. Va ancora rilevato che la condotta
attribuita agli imputati è attualmente descritta in termini più
puntuali dall’articolo 171ter comma 2 lettera abis), della legge
633/41, introdotto dall’articolo 1 comma 3 del Dl 72/2004, convertito
con modificazioni della legge 128/04, ma sempre con la delimitazione
della soglia di punibilità mediante il riferimento all’ipotesi
che il fatto venga commesso “a fini di lucro”. Passando quindi
all’esame dei fatti di cui alla pronuncia di condanna degli imputati
deve essere escluso, nel caso in esame, che la condotta degli
autori della violazione sia stata determinata da fini di lucro,
emergendo dell’accertamento di merito che gli imputati non avevano
tratto alcun vantaggio economico della predisposizione del server
ftp, mentre dalla utilizzazione dello stesso traevano sostanzialmente
profitto, nei sensi opra precisati, si soli utenti del server
medesimo. Anche con riferimento alla detenzione da parte del R.
di un programma destinato a consentire la rimozione o l’elusione
di dispositivi di protezione di programmi non emerge dall’accertamento
di merito la finalità lucrativa cui sarebbe stata destinata la
detenzione e, tanto meno, un eventuale fine di commercio della
stessa. Gli imputati devono essere, pertanto, prosciolti dalle
imputazioni loro ascritte perché il fatto non è previsto dalla
legge come reato, con il conseguente annullamento senza rinvio
della sentenza impugnata.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il
fatto non è previsto dalla legge come reato.
Fonte ; http://www.diritto-in-rete.com/sentenza.asp?id=331
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