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:: SENTENZE ::



Corte Suprema di Cassazione sez. VI Pen. Sentenza n. 22400/2008 del 4 giugno 2008

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del popolo italiano – LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Sezione Sesta Penale

ha pronunciato la seguente SENTENZA

sul ricorso proposto da: S. G., avverso la sentenza della Corte di appello di Roma in data 7 febbraio
2007, la quale, in riforma della sentenza 12 ottobre 2004 del Tribunale di Roma, ha dichiarato non
doversi procedere, in ordine al reato di ingiuria perché estinto per prescrizione e ha ridotto la pena
a mesi 8 di reclusione per il reato ex art. 572 Cod. Pen. come qualificato dal Tribunale.

Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso. Sentita in pubblica udienza la relazione fatta dal
Consigliere dott. Luigi Lanza. Udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore
Generale dott. Oscar Cedrangolo che ha concluso per l’annullamento senza rinvio dell’impugnata
sentenza perché il reato è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili; nonché
il difensore della parte civile avv. M. che ha chiesto la conferma della decisione impugnata e il
difensore dell’imputato che ne ha chiesto invece l’annullamento senza rinvio.

considerato in tatto e diritto

Con un primo motivo di impugnazione la ricorrente difesa deduce la violazione dell’art. 606,
1comma, lettera c) per inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità in relazione
all’art. 159,1 n.3 C.P.P. (nella modifica ex art.6 legge 251/2005) con riferimento all’ordinanza
21 giugno 2006, nella parte in cui ha disposto la sospensione del corso della prescrizione sino
al 7 febbraio 2007, e, quindi oltre il termine di 60 giorni. Il motivo, prospettato al fine di conseguire
una pronuncia anticipata di prescrizione, impedita dal rinvio di sette mesi con prescrizione interrotta,
manca di rilievo attuale, attesa l’avvenuta pacifica maturazione del termine massimo di
prescrizione. Su tale conclusione va premesso che l’art. 578 c.p.p., nel rendere obbligatoria - per
il giudice dell’impugnazione penale - una pronuncia di merito sull’impugnazione ai soli effetti delle
disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, impone al giudice, da un
lato, di verificare se sussistano gli estremi del reato dal quale la parte civile fa discendere il proprio
diritto e, dall’altro, di accertare, sia pure in modo sommario, la sussistenza ditale diritto.
La cognizione del giudice penale, sia pure ai soli effetti civili, rimane, quindi, integra e il giudice dell’impugnazione deve verificare l’esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine
di confermare o meno il fondamento della condanna alle restituzioni o al risarcimento pronunziata
dal primo giudice (Sez,I, 40197/2007, Rv. 237863 , Formis; Cass. Sez. 1, 3 ottobre 1994,
Zamai, rv 199625; Cass. Sez. 4, 3 febbraio 2004, rv. 228597).

In tale ottica vanno quindi nell’ordine esaminati gli ulteriori motivi di impugnazione contenuti nel ricorso.

Con secondo motivo, al di là della formula usata, si prospetta la violazione dell’art. 606.1 lettera
d) C.P.P. per mancata assunzione di prova decisiva, nella specie costituita da documenti che,
pur acquisiti in fatto non sarebbero stati esaminati, sia sul punto di un preteso comportamento
della moglie inteso ad impedire i contatti padre - figlia, sia sotto l’ulteriore profilo di un
accredito pari a 70 milioni di lire.


Il motivo è del tutto infondato.

La lettura delle conformi decisioni dei giudici di merito consente infatti di concludere in modo
diametralmente opposto alle prospettazioni del ricorrente. Basti esaminare il secondo capoverso
del punto 3 della sentenza di I grado per rendersi conto che il primo giudice, nel dare ragionevole
e motivato credito alla versione sui fatti offerta dalla persona offesa, stigmatizza la condotta
“probatoria” del S., il quale, se avesse in concreto adempiuto agli obblighi, “avrebbe potuto, volendo,
acquisire e depositare gli assegni versati, e non limitarsi a matrici contenenti annotazioni
riconducibili a lui. Pertanto nessuna inadempienza dei giudici e, men che meno, omessa
valutazione della documentazione proposta, che è stata invece puntualmente esaminata,
con un persuasivo ed indiscutibile esito di non prova del preteso accredito di 70 milioni,
comunque non provati come versati e, in ogni caso, non versati mensilmente, alle scadenze
naturali fissate dal giudice civili per il raggiungimento delle finalità cui l’assegno di mantenimento
è preordinato, e con tempi e modi scelti arbitrariamente dall’onerato.

Né miglior sorte ha il terzo motivo di impugnazione, laddove si lamenta il deciso assorbimento
del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare in quello di maltrattamenti, senza alcuna
motivazione, nonostante la presenza di un puntuale motivo (pag -7 ricorso). Orbene, nell’ultima
parte dell’articolazione sub 4 della prima sentenza (cui i giudici distrettuali hanno fatto
puntuale riferimento) è proprio chiarito, in modo esplicito e con motivazione che per la sua logicità
si sottrae al controllo della Suprema Corte, che nel reato di maltrattamenti di cui
all’art. 572 Cod. Pen. vanno ritenuti assorbiti tutti i fatti accertati in danno della P. , compresa
la circostanza che l’imputato ha versato solo in parte e comunque con ritardo quanto dovuto per il mantenimento della figlia e tale fatto, non integrante l’ipotesi dell’art. 570 Cod. Pen. non
essendo stato ritenuto pienamente provato che alla beneficiaria siano mancati i mezzi di
sussistenza, è stato comunque correttamente utilizzato come ulteriore significativa espressione dell’atteggiamento abituale di prevaricazione tenuto dal S. nei confronti della ex moglie.
Identica conclusione, va rassegnata per il quarto motivo in cui la difesa si duole che la Corte
di appello nulla abbia detto sul contrasto tra dispositivo e motivazione della decisione del giudice
di I grado, sul punto dell’accusa ex art. 570 Cod. Pen., della cui insussistenza il ricorrente avrebbe
a suo avviso, quanto meno, fornito una semiplena probatio (matrici degli assegni il cui avvenuto
versamento in favore della parte civile non risulta contestato). Vale per esso quanto evidenziato
per il terzo motivo la risposta giudiziaria, consacrata nel dispositivo, in modo armonico rispetto
alla motivazione del provvedimento, fa riferimento inequivoco alla responsabilità a titolo di
maltrattamenti (cfr. anche pag. 5 della sentenza d’appello), responsabilità che ha assorbito tutte
le condotte contestate in danno sia di V. che di M. P. , esclusa quindi la condotta
ex art. 570 Cod. Pen., mai considerata e tanto meno oggetto di amplificazione della sanzione
ex art. 81 capoverso Cod. Pen..

Con il quinto motivo si evidenzia la violazione dell’art. 606, 1 comma, lettera e) C.P.P. per
mancanza di motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che non può
essere considerata una moglie in posizione psicologica subordinata, quella che, con iattanza,
usualmente viola le prescrizioni del giudice civile. Identica assenza di motivazione è dedotta
per ciò che attiene al requisito della sistematicità della condotta illecita ed il suo profilo
soggettivo, valutate anche i comportamenti di entrambi i coniugi.

Tale quinto motivo, nella misura in cui si sostanzia in censure di mero fatto in ordine alla
ricostruzione del risultato delle prove e della toro valutazione, non è proponibile in questa
sede (v. per tutte Cass. Sez. Un. 19.6.1996, Di Francesco), avuto riguardo alla presenza di una argomentazione che risulta condotta e sviluppata con rigore logico dai giudici di merito —
le cui sentenze, essendo la seconda confermativa della prima, si integrano a vicenda —
e che, in base ad una giurisprudenza consolidata e del tutto condivisibile, non può essere
alterata da una diversa ricostruzione, magari di equivalente logicità Infine, nella parte conclusiva
del ricorso si riprende ancora la tematica del III e IV motivo (cui si è già data risposta), osservando criticamente che non è dato comprendere se il giudice distrettuale abbia inteso affermare la
responsabilità del S. anche per il reato ex art. 570 Cod. Pen., escluso dal primo giudice, oppure
abbia ritenuto il ritardo nel pagamento dell’assegno come condotta riferibile al reato di
maltrattamenti e non contestata nel corrispondente capo di imputazione. Infine, con
memoria tempestivamente depositata, il difensore dell’imputato ha insistito ribadendo le censure
dell’atto di impugnazione sulla pretesa carenza di motivazione in punto di prova degli avvenuti
pagamenti; sull’insussistenza dell’art. 572 Cod. Pen. per cessazione della convivenza;
sull’assenza del dolo progressivo, in un contesto di maltrattamenti nel quale l’intento
dell’agente era quello di esercitare il suo diritto di padre a fronte dell’atteggiamento
ostruzionistico della moglie concludendo per la formula di annullamento senza rinvio,
pur in presenza della causa estintiva ex art.157-160 Cod. Pen. a sensi del capoverso dell’art.129 c. P. P

Su tali pretesi vizi si è già sopra argomentato, qui ribadendosi comunque, in punto di diritto e
quanto alla cessazione della convivenza, che lo stato di separazione coniugale, pur dispensando
i coniugi dagli obblighi di convivenza e di fedeltà, lascia tuttavia integri i doveri di reciproco
rispetto, di assistenza morale e materiale nonché di collaborazione. Pertanto il suddetto stato
non esclude il reato di maltrattamenti quando l’attività di costrizione o di sopraffazione si valga
proprio o comunque incida su quei vincoli (come nella specie il rapporto con la figlia in
presenza della madre) che, rimasti integri, pongono la parte offesa in una persistente
posizione psicologica subordinata (cfr. in termini: Cass. Penale sez. sez VI, U.P. 30.9.98 Moranda).
Tale interpretazione è infatti confortata dal tenore letterale della norma che prevede il fatto di
chi sottopone a maltrattamenti una persona della famiglia, senza richiedere che il vincolo si
accompagni necessariamente alla convivenza oppure alla coabitazione (Cass. Penale
sez. VI, U.P. 1.2.99 Valente).

In conclusione, considerato che la motivazione della sentenza impugnata (integrata con
la decisione di primo grado) si sottrae alle censure che le sono state mosse, ed il provvedimento
censurato ha evidenziato in modo univoco la sussistenza della responsabilità del ricorrente
al di là di ogni ragionevole dubbio, vanno di conseguenza confermate, a norma del disposto
dell’art. 578 C.P.P., le disposizioni ed i capi della sentenza che concernono gli interessi
civili, pur nella dichiarazione di estinzione dei reati per intervenuta prescrizione.

P.Q.M. annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i reati sono estinti per prescrizione,
ferme restando le statuizioni civili.

 

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